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lunedì 11 settembre 2017

La "casta animalista" s'arricchisce. E noi paghiamo di Massimiliano Filippi* 11-09-2017 AA+A++ Animalisti AddThis Sharing Buttons Share to Facebook Share to Twitter Stampa Invia ad un amico Scarica il PDF RSS Le politiche degli ultimi anni sugli animali incidono negativamente su disoccupazione, tasse, sanità, per alimentare una casta, quella animalista, che ci toglie diritti e si arricchisce alle nostre spalle. È un’affermazione un po’ forte, penserà qualcuno, ma reale, purtroppo, e necessaria, visto che il tutto avviene in modo studiato, perché i più non se ne accorgano. Certo, quando parlo di “casta animalista” non intendo le gattare che sopravvivono spendendo la quota maggiore della loro pensione per accudire animali sfortunati; parlo di una lobby potentissima, quella delle grosse associazioni, magari Onlus (?), che negli anni ha consolidato un potere reale ed economico impressionante, tale da condizionare a proprio favore la politica, i media e ovviamente l’opinione pubblica, che alla fine è quella che paga… Hanno cominciato negli anni ’90: sfruttando l’occasione dell’acuirsi del problema del randagismo canino, causato da un certo lassismo delle Amministrazioni nel decennio precedente, sono riusciti ad ottenere dalla politica (con la Legge 281/91) un riconoscimento ed un ruolo, quello di contribuire a risolvere il problema. Ovviamente, lo hanno fatto offrendo le loro soluzioni, che in realtà soluzioni non erano, ma incontravano lo spirito e le aspettative di grandi e positivi cambiamenti dell’epoca: era caduto il muro di Berlino, finita la guerra fredda, perciò offrire un futuro anche ai cani randagi era naturale… Da quel momento i rapporti tra le associazioni animaliste ed i decisori della Pubblica Amministrazione non hanno fatto che intensificarsi (era la legge stessa a prevederlo); sono sorti canili, anagrafi, progetti informativi/educativi, una parte consistente del personale delle ASL è stato dirottato ad occuparsi di cagnolini… insomma, non hanno fatto che aumentare le spese per gli italiani, per gestire un problema che ancora oggi non è stato risolto. Solo che oggi, anche quando qualcuno se ne accorge e lo fa notare, loro, gli animalisti, sono ormai diventati così potenti da riuscire ad addossare la colpa su qualcun altro. Infatti, proporzionalmente a quanto sono aumentate le uscite per i cittadini, sono aumentate le entrate per le associazioni animaliste, alcune delle quali tra convenzioni, donazioni, 5x1000, ecc. vantano oggi bilanci da spa. E investono con stile e metodi da spa, soprattutto in comunicazione, avendo capito che con l’informazione, si tratti di verità o bugie poco importa, si riescono a condizionare le scelte di chiunque. Così nel 2004, raccontandoci di voler contrastare il racket dei combattimenti tra cani (ma di quanti casi reali siete mai stati a conoscenza?!...), queste organizzazioni hanno ottenuto un’altra legge, la 189, che consente loro, quando ci siano di mezzo animali, di operare la vigilanza attraverso le loro guardie zoofile, denunciare presunti reati e, soprattutto, una volta ottenuto un sequestro, farsi affidare gli animali sequestrati, divenire destinatarie delle entrate derivanti da eventuali sanzioni, costituirsi parte civile ai processi per chiedere ancora soldi... Un bel guadagno senza alcun rischio, per loro… E per noi? Ovviamente l’entrata in vigore di una simile norma non ha fatto che aumentare a dismisura il numero di procedimenti giudiziari e quello dei sequestri di cani, gatti, uccelli, ecc. (meglio cuccioli, che fruttano più donazioni e sono più facili da piazzare). La Forestale ha messo in piedi addirittura un nucleo specializzato; magistrati, cancellieri, impiegati, agenti, automobili e mezzi speciali che girano, tutti impegnati a “salvare cagnolini” (così ce la raccontano!) e tutti a spese nostre. In poche parole: spendiamo noi (sono tutti soldi che provengono dalle nostre tasse) e non poco, e se c’è da incassare, incassano loro!... Ma non è tutto: allo spreco diretto dei nostri soldi si aggiungono altri danni: le aziende, colpite da accuse che poi spesso si rivelano infondate e che subiscono i sequestri e i procedimenti in tribunale pagati da noi, si fermano, a volte chiudono, non producono più reddito e smettono di pagare la loro parte di tasse. Gente che ieri lavorava rimane disoccupata. E che dire delle persone, magari padri di famiglia, a cui le associazioni animaliste hanno tolto il lavoro direttamente, forzando il Parlamento ad approvare specifiche leggi? Quando, ad esempio, nel 2014 hanno spinto i nostri governanti a recepire in maniera errata la Direttiva europea 63/2010 sulla sperimentazione animale, di colpo allevare in Italia cani, gatti e primati da laboratorio è diventato vietato, un’azienda ha chiuso e i suoi dipendenti sono rimasti senza lavoro. Non è stata vietata la sperimentazione animale, che gli animalisti continuano a chiamare “vivisezione”, ma di fatto si sono obbligati i laboratori italiani a rifornirsi di cavie all’estero, con aggravio di spesa per tutti, visto che in Italia la ricerca è in gran parte pubblica. Inoltre, qualche altra azienda privata ha iniziato a pensare che investire in Italia non sia più tanto sicuro… E come se ciò non bastasse, nel 2016 la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia per l’errato recepimento della Direttiva: se per questo ci saranno sanzioni da pagare, le pagheremo sempre noi!... Nel frattempo, nel 2007, è stata vietata in Italia la produzione del foie gras, che hanno inventato i Romani (il gastronomo Marco Gavio Apicio), non i Francesi, e anche quello oggi lo compriamo all’estero. E la lista di attività economiche e posti di lavoro bruciati dalle politiche animaliste, direttamente o indirettamente, si potrebbe continuare a lungo, con un peso per il portafoglio degli italiani che non compensa certo né gli impieghi pubblici creatisi, visto che li paghiamo sempre noi, né il mercato del “vegan”, di nicchia e redditizio, ma in mano a ben pochi soggetti, guarda caso spesso legati alle associazioni animaliste stesse. Eppure, pare che ancor oggi in pochi se ne siano resi conto. Le statistiche dicono che una delle maggiori preoccupazioni per gli Italiani siano le tasse, ma pare non si rendano conto che l’ammontare delle stesse dipende in gran parte da come i soldi raccolti vengono impiegati o che se anche viene abolita la tassa sul cane, non si eliminano certo le spese per le politiche animaliste. Stessa cosa vale per la disoccupazione: tutti la temono, ma non si rendono conto della gravità del problema fino a che non è il loro posto di lavoro ad essere minacciato. Non capiscono che, ieri gli allevatori di oche da fegato o di cani, gatti e primati da laboratorio, domani magari i circensi o i vetturini delle carrozze trainate da cavalli, senza lavoro, non solo non contribuiscono più al bilancio dello Stato, ma entrano in concorrenza nella ricerca di un posto. E se parliamo di sanità la situazione assume aspetti addirittura tragicomici. Lasciamo perdere l’organico pubblico dedicato agli animali che le scelte indotte dagli animalisti ci hanno costretto a mantenere, già spropositato e in continua crescita, al contrario delle produzioni zootecniche nazionali, in continuo calo, tutto senza che mai nessuno si sia lamentato; ma pare addirittura che gran parte di quelli che si dicono favorevoli all’istituzione di una eventuale mutua per animali, con tanto di visite e farmaci gratis e quant’altro, siano gli stessi che poi si dicono preoccupati di non ricevere loro un’adeguata assistenza sanitaria oppure la pensione. Non capiranno che sono sempre loro a pagare? Che per ricevere un aiuto a mantenere un cane probabilmente dovranno sobbarcarsi di mantenere un figlio disoccupato? Sembra, purtroppo, di no!... Un po’ per colpa dell’odierna società, che come dimostra la rana bollita di Chomsky, accetta passivamente il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori, dell'etica, accettandone di fatto la deriva; un po' per le tecniche di comunicazione e di lobby usate dalle citate associazioni animaliste, che sfruttando appunto la particolare situazione socio-culturale e, con meschini stratagemmi, sottraggono ai cittadini soldi e diritti in maniera sufficientemente lenta e graduale da farlo sfuggire alla loro coscienza e non suscitare in loro nessuna reazione, nessuna opposizione. Bisogna invece aprire gli occhi: la Lav, forse la più potente tra le associazioni animaliste in Italia, che intesse rapporti un po’ con tutte le istituzioni, non fa mistero nel proprio statuto di perseguire “l’abolizione della vivisezione, della pesca, della caccia, delle produzioni animali, dell’allevamento, del commercio, degli spettacoli con gli animali e dell’utilizzo di qualsiasi essere vivente”. Stiamo parlando dei farmaci e delle cure di cui tutti prima o dopo abbiamo bisogno, della carne o del pesce che tutti mangiamo e vorremmo continuare a mangiare, dell’abbigliamento, delle scarpe, le cinture, le borse che dovremmo aver diritto di sceglierci come ci pare, dei sedili dell’auto o del divano di casa e persino dei nostri svaghi. E per rinunciare a tutto ciò stiamo pure pagando e profumatamente. Se un cane scava le buche in giardino trovo sia giusto prima provare ad insegnargli a non farlo, ma se continua bisogna metterlo alla catena! Figuriamoci poi se le buche le scava nel portafoglio!... *Segretario Generale FederFauna

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